Seppelliamo gli archivi

“Bill Gates ha acquistato l’archivio Bettmann – la più prestigiosa collezione di fotografie storiche negli Stati Uniti – per poterlo seppellire. Nel 2001 ha infatti affittato diciannove camion per trasferirlo dalle afose estati di New York a una fresca grotta calcarea a 70 metri di profondità nel cuore della Pennsylvania. Qui, apparecchi grandi come armadi regolano il tasso di umidità, e uomini della sicurezza perlustrano strade ben illuminate scavate nella roccia. Il deposito, gestito dall’azienda specializzata Iron Mountain, è moderno in ogni suo aspetto; ma se vi spingete abbastanza in profondità vi ritroverete in un vicolo cieco dove un buco nel muro rivela un lago sotterraneo, illuminato solo attraverso il buco stesso.

Le foto dell’archivio Bettmann sono conservate in una caverna lunga e stretta, le cui pareti di nuda roccia sono state intonacate di bianco, ma che per il resto è rimasta com’era. Nelle file di cassetti che si estendono all’infinito ci sono 11 milioni di fotografie e negativi, di valore inestimabile, suddivisi in base alle collezioni originarie che la Bettmann ha acquisito negli anni. All’interno di ogni collezione, le foto e i negativi sono generalmente disposti ordine cronologico. La temperatura nella stanza sta progressivamente calando – quasi -20 gradi Celsius – e Henry Wilhelm, un’autorità nel campo della conservazione della pellicola, ritiene che a quella temperatura la collezione impiegherà 500 anni a deteriorarsi tanto quanto si deteriorava in un solo anno a Manhattan.

Wilhelm decise di dedicare la vita alla conservazione della pellicola quando andò nella foresta pluviale boliviana come membro del Corpo di pace e vide preziose foto di famiglia conservate nelle case dal tetto di paglia. «Si stavano deteriorando rapidamente, e non c’era nulla che io potessi fare» racconta, e a decenni di distanza si percepisce ancora la frustrazione nella sua voce. La sede che ha progettato per l’archivio Bettmann è l’esatto opposto di una foresta pluviale boliviana”. (David Weinberger, Elogio del disordine, Rizzoli, 2009, pagg. 28-29)

 


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