Parlavo tempo fa con un paio di imprenditori, un titolare di una Srl e un amministratore di cooperativa, convinti che per fare affari con la pubblica amministrazione alla fine occorre arrivare a “comprare” la decisione pubblica, non necessariamente con la corruzione o piegandosi ad atti di concussione, ma sicuramente con una forte azione di relazione e lobbying, spesso occulta e basata su criteri non trasparenti (di partito, massonica, di parentela, …). Naturalmente loro stigmatizzavano tali comportamenti, ma questa convinzione li deprimeva non poco, e faceva concludere ad entrambi che “in Italia non c’è meritocrazia”. La scelta di piegarsi a queste prassi “nascoste” (non necessariamente illecite) indebolisce comunque la posizione dell’azienda e pertanto il suo potere contrattuale. Chi agisce in tal modo trasforma un diritto in un favore e sarà costretto a comprare in futuro qualsiasi altra cosa. In fin dei conti si tratta di una dichiarazione di impotenza, di non essere in grado di far valere le proprie ragioni, il proprio diritto. Per contrastare questo fenomeno dovrebbero agire in modo più coeso e incisivo le tante sigle associative che rappresentano le imprese italiane ma, al di là di generici proclami, un’azione unitaria è ancora lontana.