C’è una cooperativa che è fallita, e i soci sono molto arrabbiati. I dirigenti si sono dimostrati incapaci di gestirla. Non hanno saputo leggere i cambiamenti dell’economia, capire che cosa chiedeva il mercato, inventare i prodotti adatti, scegliere e motivare i collaboratori. Alcuni addirittura si sono occupati dei loro affari, trascinati dalle proprie ambizioni personali.
Per anni e anni non si sono curati di guidare e stimolare i soci ad essere più creativi, più attivi, più produttivi. A volte lo dicevano a parole, nelle assemblee o durante i seminari di formazione, ma a queste parole non seguiva mai l’esempio.
Così, nel corso del tempo, sono arrivati nelle posizioni di potere personaggi abili a muoversi nei meandri politici con menzogne, intrighi, omissioni, ricatti. Alla fine l’infezione è stata letale. Quando è scoppiata la crisi non c’è stata una risposta compatta e solidaristica, ma sono emersi rancori, conflitti a lungo sopiti, egoismi. Oggi i soci danno la colpa del fallimento a questi dirigenti. Ma i soci fanno finta di dimenticare che sono stati loro a mettere al vertice della cooperativa capi inetti e avidi. Quindi la responsabilità del fallimento è loro.