Da tempo le associazioni imprenditoriali vivono una duplice crisi: di rappresentanza e di servizio. Sul versante della rappresentanza, le associazioni vedono il loro ruolo eroso sia da politiche nazionali volte a scavalcare i corpi intermedi, sia da evoluzioni economiche e sociali che hanno messo in crisi i loro tradizionali pilastri identitari.
Le sigle storiche in Italia si differenziano a seconda del settore merceologico (servizi, commercio, manifattura, agricoltura), della dimensione d’impresa (grande, media o piccola), dell’orientamento ideologico (cattolico, social-comunista, laico-repubblicano), della forma giuridica (impresa di capitali, cooperativa). Oggi quando un’impresa sceglie a quale sigla associarsi sempre meno ragiona in termini di settore o dimensione, e ancor meno in base al tradizionale “colore” politico abbinato all’associazione di categoria. La stessa forma giuridica non è più vincolante per molte cooperative, che si associano anche (o solo) ad associazioni di imprese non cooperative.
Le scelte di adesione degli imprenditori sempre più si basano su fattori economici (la qualità e la convenienza dei servizi offerti dall’associazione) o opportunistici (la possibilità di fare affari grazie all’associazione).
I servizi, in particolare, costituiscono da tempo il principale motivo di adesione alle associazioni del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura (ma anche in misura crescente per quelle industriali e della cooperazione). Tuttavia anche i servizi alle imprese evidenziano oggi forti elementi di criticità: aumenta la concorrenza sui servizi di base, come quelli creditizi, la formazione, i servizi contabili o paghe. La concorrenza è sia fra le associazioni stesse (che ormai competono a prescindere dalle sigle, dai settori merceologici e spesso anche dei territori di insediamento, in una logica del “tutti contro tutti”), che fra associazioni e studi privati, spesso più competitivi sul fronte dei prezzi, della personalizzazione e della velocità di risposta. Si è così scatenata una battaglia competitiva cui non sempre le associazioni sanno rispondere in termini di efficienza e differenziazione.
Rimandando ad altre sedi il tema su come affrontare le crisi di rappresentanza e di servizio, vogliamo qui sottolineare una terza sfida per le associazioni, ovvero quella di rispondere alla crescente domanda di supporto imprenditoriale proveniente dalle imprese, specie le micro imprese e le PMI. Sono soggetti che chiedono sempre più di non essere lasciate da soli di fronte alle sfide dei mercati, alle esigenze di innovazione, agli investimenti in nuovi modelli di business e in capitale umano. Sono imprese disposte a lavorare in rete con altre, piccole come loro o anche più grandi (es. multinazionali) o più piccole (es. start up). È la funzione associativa che possiamo definire di “business networking”.
Di fronte alla richiesta di “fare business non da soli ma in rete con altri”, le risposte delle associazioni sono spesso deludenti, ricalcate sulla falsariga di soluzioni tradizionali (i consorzi, i marchi collettivi, i contratti di rete), spesso proposti solo se collegati a finanziamenti pubblici. Ma soprattutto sono risposte “passive”, volte a risolvere problemi già noti: vendere o comprare meglio quello che già si sa di dover vendere o dover comprare.
Quello che serve è invece una capacità “proattiva”, di aiutare cioè le imprese a immaginare prima e attuare poi nuovi modelli di business, nuove soluzioni tecnologiche, nuovi processi e nuovi modelli organizzativi.
Non è facile per le associazioni riuscire a soddisfare questo nuovo tipo di domanda, principalmente per due motivi. Il primo è che le associazioni conoscono solo superficialmente le imprese associate, ovvero conoscono i dati anagrafici (fatturati, dipendenti, settori merceologici), ma non i modelli di business, le potenzialità interne, le dinamiche decisionali, i progetti di sviluppo. Il secondo motivo è legato alla carenza di figure professionali in grado di sviluppare un’offerta in questo senso: più che esperti di finanziamenti pubblici servono analisti di business, attivatori di reti, promotori di innovazione.
Per superare tali limiti occorre lavorare su tre fronti. Il primo è quello del sistema informativo, che deve contenere dati più completi e aggiornati rispetto a quelli oggi normalmente in possesso dell’associazione. Tali dati devono potersi trasformare in informazioni e conoscenze utili a capire meglio le logiche di sviluppo delle imprese associate. Un secondo livello è quello del tipo di competenze delle persone dedicate alla funzione di “business networking”: oltre a competenze di “service and marketing management” occorrono conoscenze di analisi di scenario, business model, strategia, analisi di dati, logiche di sviluppo. Il terzo fronte infine è quello che prevede un coinvolgimento degli imprenditori stessi in progetti di innovazione congiunta, facendo così fare agli imprenditori il mestiere su cui sono più attrezzati, con i funzionari dell’associazione impegnati a creare le condizioni perché il business networking nasca e si sviluppi.