Sono giorni difficili per molte cooperative. Non solo la crisi economica mette in difficoltà molte imprese, ma l’intero sistema viene scosso da casi eclatanti (consumo, logistica, servizi sociali) di cattiva gestione, se non proprio di collusioni criminali. Si tratta di casi limitati, ma significativi, per le dimensioni delle imprese coinvolte e l’effetto mediatico connesso. Sono casi che presentano elementi regolarmente ricorrenti: pochi, pochissimi uomini al comando, nessuna trasparenza, inesistente partecipazione da parte delle basi sociali, latitanza degli organismi di controllo esterno. Eppure non è la prima volta che questo accade: nel recente passato si è assistito a situazioni identiche e di enorme gravità (es. nel settore delle costruzioni). Cosa caratterizza invece le cooperative che perseguono il loro obiettivo in modo virtuoso, magari senza troppi clamori? Sono cooperative che sono capaci di mettere in atto una strategia democratica, che non è tanto quella di “una testa, un voto”, ma è quella propria della Grecia classica: una democrazia basata sul contributo intellettuale di ciascuno. Sono cooperative in cui la responsabilità di determinare la strategia è distribuita in modo coinvolgente, con l’obiettivo di condividere un orientamento comune. Ne ho già parlato qui (La democrazia in cooperativa) e ora aggiungo che occorre dare sempre più voce a tutti, specie a quelli che finora sono stati tagliati fuori dai processi di costruzione delle strategie: ai giovani, a chi sta nella periferia dell’organizzazione, agli ultimi arrivati. In altre parole a chi non è oppresso dalla zavorra della burocrazia centrale e dall’ortodossia dei ritualismi cooperativi e associativi.