Fino al diciannovesimo secolo era normale che i detentori di cariche pubbliche si arricchissero. Anzi, la strada più breve per diventare ricchi era proprio quella del potere politico e delle cariche pubbliche. E nessuno si scandalizzava per questo. Ancora oggi è così in molte nazioni, dove tutti sanno che possano coesistere il lavoro pubblico e l’arricchimento privato. In questi paesi la corruzione è un fenomeno di normale integrazione del ruolo pubblico. In altre nazioni invece la sfera privata e la sfera pubblica sono ideologicamente tenute separate, quasi opposte. Ogni confusione fra esse è vista come immorale e la carica pubblica viene considerata quasi una “missione” e un sacrificio per il bene comune. Non per niente si parla di “servitori dello stato”. E più alto è il piedistallo su cui i pubblici funzionari vengono messi, più rovinosa è la caduta quando vengono travolti da un caso di corruzione. Certamente la corruzione prospera maggiormente in paesi con bassi livello di senso civico e di moralità pubblica. Ma se la corruzione aumenta questo sembra dipendere non tanto da un aumento del numero dei “corruttori”, quanto dalla crescita del numero di coloro che sono disposti a farsi corrompere. E le motivazioni di questi ultimi non sono solo semplicemente di tipo economico, ma vanno ricercate anche nella sensazione di inutilità del proprio ruolo pubblico.