Capita di sentire manager e imprenditori sostenere che “cambiare è difficile, le persone non hanno la cultura giusta”. A parte il fatto che probabilmente tutti (manager e imprenditori compresi) di fronte alle grandi sfide del cambiamento non hanno “la cultura giusta”, la domanda è: ma cosa si intende per “cultura giusta”?
Secondo la classica definizione di Edgar Schein, la cultura organizzativa è “l’insieme coerente di assunti fondamentali, che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato, imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione ai problemi”.
Nessuna organizzazione, nessun gruppo abbandona un assunto radicato solo perché le soluzioni tradizionali e le proprie competenze non sono più idonee a risolvere i problemi. Spesso si continua a ripetere lo stesso errore fino a che non sopraggiunge il fallimento. E questo è un comportamento normale dei gruppi, perché ammettere l’inadeguatezza delle proprie competenze crea ansia, e ogni volta che ci si trova ad analizzare le cause di un problema c’è sempre qualcuno pronto a dimostrare che non è possibile attribuire un certo effetto ad una sola causa.
In sostanza manager e imprenditori devono comprendere che gli assunti culturali sono inconsapevoli e non appartengono alla sfera delle cose discutibili: se vogliono davvero cambiare devono prepararsi ad affrontare una rivoluzione culturale, che non è un processo breve e, soprattutto, deve iniziare da loro. Ad esempio: provano un sincero interesse per le persone? Incoraggiano l’iniziativa dei singoli e dei gruppi? Se mancano questi due elementi è difficile parlare di “cultura giusta” (vedi a tal proposito Due fattori della cultura vincente)