La frustrazione dei professionisti della conoscenza nasce dalla difficoltà di dimostrare il proprio valore. Mancano infatti indicatori chiari che definiscano cosa significhi realmente essere produttivi nel proprio ruolo. Di conseguenza molti professionisti della conoscenza si immergono in una frenetica attività basata su indicatori di produttività di stampo industriale: numero di pezzi fatti ed ore di lavoro realizzate.
L’idea è quella di compiere una moltitudine di attività visibili, sia all’interno dell’organizzazione di appartenenza (report, memorie, riunioni, viaggi, e-mail) che all’esterno (social, conferenze pubbliche, articoli, chat, video, libri, …), in giornate di lavoro senza fine.
Questa frenetica routine di lavoro porta all’accumulo di attività che non vengono mai completate, e nemmeno controllate. L’illusione di giungere a un punto in cui tutti gli impegni sono gestiti è pura utopia.
Tutto questo porta ad una perenne sensazione di inconcludenza, amplificata in questi anni dalla difficoltà nel concentrarsi, a causa dell’invasività delle tecnologie di rete. Studi accurati hanno dimostrato che in media oltre il 60% dell’orario lavorativo di un professionista della conoscenza viene assorbito dalle comunicazioni e dalla navigazione online, con il 30% dedicato esclusivamente a leggere e rispondere alle e-mail ed alla messaggistica istantanea.