I luoghi di lavoro sono un concentrato di astuzie, stratagemmi, finzioni di ogni tipo. Durante lo svolgimento della propria attività, il lavoratore può venirsi a trovare in situazioni strane, non previste. Sono questi i casi in cui egli fa ricorso ad una serie di “astuzie nascoste”.
Un primo tipo di astuzie è dato da quelle “pratiche non previste ma indispensabili” e quindi note a tutti e da tutti accettate, in quanto suppliscono a limiti tecnologici o procedurali. Sono da ricomprendere in questa classe anche le iniziative urgenti prese in mancanza del responsabile formale.
Un secondo tipo di astuzie sono quelle “tollerate”: cadono in questa categoria ad esempio i permessi taciti, da quelli innocenti a quelli più discutibili, come gli sconfinamenti in mansioni affidate ad altri.
Un ulteriore tipo infine sono le “astuzie vietate”. Sono tutte le pratiche opportunistiche atte a rendere il lavoro più svelto o comodo, compromettendo la qualità del prodotto o la sicurezza del processo. La cosa interessante è che spesso la gerarchia finge di non vedere tali comportamenti e tacitamente approva.
Questo può accadere perché l’organizzazione del lavoro risulta inadeguata a esigenze che impongono un lavoro più flessibile e responsabilizzato. Oppure perché i quadri direttivi si rifiutano di adottare un nuovo modello organizzativo e preferiscono mantenere un modello superato ma conosciuto, anche a scapito dell’efficienza. Una ulteriore spiegazione a questa tolleranza sta nella tradizionale supremazia della quantità sulla qualità, data dal fatto che la gerarchia non è in grado di valutare la qualità se non con criteri molto burocratici e approssimativi: si transige su pratiche irregolari pur di raggiungere gli obiettivi quantitativi.